Le prime civiltà dei romani, dei franchi e dei galli furono tutte attraversate da una forma di ‘nobiltà’. Dopo la caduta dell’Impero Romano l’uso del suo codice legislativo scomparve, e gli unici rimasti a difendere i poveri furono sacerdoti e cavalieri.
Nella penisola italica, coloro che necessitavano di protezione si riunirono attorno alle famiglie dominanti. Un re veniva scelto in base al diritto divino dei re e sostenuto da un gruppo di uomini a lui fedeli, che diventavano suoi cavalieri. All’investitura il nuovo cavaliere, benedetto dal tocco della spada e da un vescovo, era toccato anche da questo diritto divino, e il suo titolo veniva tramandato ai discendenti.
Vari erano i criteri in base ai quali venivano selezionati i cavalieri: potevano appartenere alla cavalleria o agli ordini equestri militari del Medioevo, oppure ancora essere esperti di diritto o di medicina. In alternativa, potevano detenere posizioni importanti all’interno del nuovo regno. Nella penisola italica la nobiltà non fu mai una casta chiusa. Le famiglie potevano entrare a farne parte attraverso l’istruzione e le arti.
Prima che nel 1806 il regno di Napoli abolisse la società feudale e che nel 1862 il giovane Regno d’Italia vendesse forzatamente la stragrande maggioranza delle terre di proprietà della Chiesa cattolica, nobiltà e clero avevano poteri quasi illimitati, in particolare sui contadini che cercavano la protezione dei nobili contro le tasse ecclesiastiche, come la ‘decima’.
È ben documentato che nel feudo di Ugento il re di Napoli investì la famiglia d’Amore del potere di sovrintendere a tutti i processi civili e penali. Ciò è illustrato anche dagli affreschi presenti nei due saloni principali del castello, dove i procedimenti avevano luogo. Il tema si richiama alla giustizia e al giudizio di Salomone.
Il cognome ‘d’Amore’ ha origine incerta; si ritiene, tuttavia, che possa provenire dal francese ‘des Amours’ o ‘Amours’, un casato normanno i cui cavalieri furono al seguito del conquistatore del meridione italico Tancredi di Altavilla nell’undicesimo secolo.
I discendenti di Tancredi fondarono infine il Regno di Sicilia. Si pensa che la famiglia d’Amore si stabilì per breve tempo a Benevento, non lontano da Napoli. Tuttavia, nella fase iniziale si divise in tre rami: uno rimase a Napoli e un altro in Sicilia, mentre il ramo che più tardi sarebbe venuto a Ugento andò a Firenze.
Fra i motivi che potrebbero averlo spinto a Firenze c’è il panno di lana, che al momento era in voga nel ricco Regno di Napoli. A Firenze i d’Amore si specializzarono proprio nella filatura della lana, che offriva una grande opportunità di avviare un’attività commerciale di successo in loco.
La famiglia fu menzionata, per l’appunto, nella ‘Cronaca Antianorum’ (un elenco di importanti famiglie) a Pisa nel 1288, e a Firenze sul finire del tredicesimo secolo. Sappiamo anche che nel 1566 fra’ Angelo d’Amore fu accolto nel Sovrano Ordine di Malta. All’inizio del diciassettesimo secolo la famiglia, ormai molto agiata, si trasferì a Napoli.
Don Pietro Giacomo d’Amore, il suo patriarca, era un florido commerciante. Decise di investire il suo patrimonio acquistando numerosi feudi del Regno di Napoli allo scopo di assicurare lunga prosperità ai suoi familiari e discendenti.
Il 31 gennaio 1643 acquisì la città di Ugento e il suo feudo. Più di 370 anni dopo, il Castello di Ugento è ancora di proprietà della famiglia.
Pietro Giacomo sposò Angela Lina, nobile spagnola, dalla quale ebbe quattro figli:
I documenti attestano che Pietro Giacomo donò il feudo di Ugento al primogenito Carlo il 12 gennaio 1648.
Il 23 dicembre 1649 Filippo IV di Spagna concesse a Don Carlo, primogenito di Pietro Giacomo, il titolo di marchese di Ugento. Un documento afferma che una delle ragioni di questo onore fu ‘l’antica e illustre nobiltà della famiglia’.
Ma Giuseppe, figlio di Carlo, non ebbe discendenti maschi. Fu quindi suo nipote Nicola a ereditare il feudo di Ugento per via di una condizione espressa nel testamento di Pietro Giacomo: se non ci fossero stati eredi alla morte dei discendenti maschi del figlio Carlo, il feudo sarebbe stato ereditato dai discendenti maschi del suo secondogenito, Giovan Battista.
Giuseppe d’Amore morì il 9 dicembre 1690 di malaria, contratta durante la caccia. Questo evento complicò ogni aspetto della proprietà. Giuseppe aveva due giovani figlie – Camilla e Antonia – con Anna Basurto. Ciò significava che l’eredità spettava a suo cugino Nicola, in quanto maschio più anziano. Anna, la vedova di Giuseppe, si oppose e chiese che il testamento di Pietro Giacomo fosse dichiarato nullo affinché Camilla potesse ereditare.
Il primo febbraio 1691 un accordo decise a favore di Nicola, che ereditò il feudo e le terre, ma allo stesso tempo gli ordinò di pagare 22.000 alle due figlie, nonché di sposare Camilla. I fratelli Giacomo I e Francesco avrebbero sposato Antonia e Anna Basurto. Ciò garantì che quel ramo della famiglia non si estinguesse.
Nel 1695 il fratello minore di Nicola, Francesco, ereditò le terre di Ruffano e Torrepadula da suo zio Carlo. Con il feudo acquisì il titolo di principe di Ruffano, concesso da re Carlo II di Spagna.
Subito dopo aver ricevuto il feudo di Ugento, Nicola trasferì il potere su di esso al fratello Francesco e partì per Napoli, dove morì nel 1702.
Dopo Francesco, fra gli altri membri della famiglia che lasciarono un’importante eredità ci furono:
La famiglia ha fatto parte della nobiltà di Lecce dal diciassettesimo secolo, fatto ufficialmente riconosciuto nel 1859 dalla commissione dei titoli di nobiltà del Regno delle Due Sicilie in occasione dell’ammissione di Michele de Leoni, nipote di Vittoria d’Amore, alla Guardia Reale di sua maestà il re Francesco II di Borbone.
Nicola e Francesco sono figure importanti nella storia del Castello poiché nei secoli sedicesimo e diciassettesimo trasformarono l’antica struttura militare in una sontuosa dimora. L’adattarono alle loro esigenze facendo costruire nuove e fastose sale da ricevimento decorate da un magnifico ciclo di affreschi mitologici, che adesso si può ammirare grazie alla recente ristrutturazione.
Oggi questo imponente castello appartiene ancora alla famiglia d’Amore, che sta scrivendo un nuovo capitolo per queste antiche pietre, silenziose custodi di tanta storia e segreti.
Lo stemma di famiglia dei d’Amore mostra un pellicano in campo blu che si apre il petto con il becco per nutrire i pulcini con il proprio cuore. I pulcini poggiano su tre monticelli, mentre un sole d’oro splende sulla scena.
L’immagine deriva dalla simbologia cristiana della Pietà. Secondo la leggenda, la madre pellicano dava il suo cuore per il nutrimento dei piccoli proprio come Cristo versò il suo sangue per la redenzione dell’umanità.
Il pellicano, spesso rappresentato come cigno, rappresenta l’amore e la totalità della dedizione verso i figli. I tre monticelli forse rappresentano i feudi di Ugento, Ruffano e Santo Mango. Si ritiene, quindi, che lo stemma fu definito dopo il 1698, quando Santo Mango fu acquisita. Infatti, nel suo più antico esemplare conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli, i tre colli e il sole non sono evidenti. Il campo blu rappresenta gli elevati ideali e la forza incorrotta, mentre il sole è il simbolo d’eternità, grandezza, potenza, provvidenza, nobiltà e magnificenza; il suo colore richiama forza, fede e agiatezza.